Offese e responsabilità

Benché questa discussione torni molto spesso sotto i miei occhi, non riesco mai a darle una forma definitiva. La domanda che meglio la riassume, però, è la seguente: se X offende Y e Y rimane offeso, di chi è la colpa?

La domanda in sé è malposta, perché di per sé è costruita per non avere una vera risposta esatta: se si dice che la colpa è di X, si può controbattere che Y non dovrebbe essere cosí “debole”; se, invece, si dice che la colpa è di Y, allora si starebbe sdoganando un linguaggio aggressivo e, diciamolo pure, incivile.

Il primo passo per arrivare a una possibile soluzione è cambiare la domanda di modo che abbia un minimo di senso in qualche riferimento logico. La mia scelta (che non è affatto originale, ma di sicuro non comune) è quella di riformulare la domanda come «Nel caso accada una situazione che possa offendere, chi dovrebbe agire in modo responsabile?». In questo modo, la domanda ha una chiara connotazione morale e si sottrae a meccaniche di tipo legale o estetico.

In questo caso, la risposta diventa anche piuttosto facile: io. Se io ho offeso e me lo si fa notare, devo riuscire a sistemare la cosa per quanto possibile; se qualcuno cerca di offendermi (volontariamente o meno), non posso aspettarmi che sia lui o chi per lui a cambiare la situazione, quindi non devo cedere alla rabbia né devo scompormi. Ciò, ovviamente, non si traduce nel subire passivamente tutto, ma anzi nel cercare attivamente un modo creativo di ribaltare una situazione spiacevole.

Nella Internet dei social, però, questo mio schema è di difficilissima applicazione: la voglia di farsi paladini della giustizia è fortissima, anche in vece di altre persone cui, magari, non importa di essere state oggetto di offese durissime da parte di perfetti sconosciuti, la cui opinione non è che rumore che si aggiunge alla baraonda della Rete. È bene guardarsi dall’annegare in tali dinamiche, non solo per la quantità di tempo immane che rubano senza poter restituire, ma anche perché la nostra psiche non è abituata a un tale livello di destabilizzazione emotiva.